dimanche 25 mars 2012

Per le strade del mondo


Rilancio l'intervista che Giuseppe Cutrona ha realizzato per il sito www.daportasantanna.it
Nel giorno del ricordo dei missionari martiri abbiamo raggiunto padre Roberto Ponti, missionario paolino in Congo, per conoscere la sua esperienza di missione e per condividere insieme a lui il valore di questa giornata che la Chiesa ci invita a vivere nella preghiera e nel digiuno.

Padre Roberto, raccontaci la tua esperienza di missione. Come hai vissuto la chiamata verso questa nuova terra lontana da casa e dagli affetti? Di cosa ti occupi e in cosa consiste la missione paolina in Congo? «Sono arrivato circa un anno fa a Kinshasa, nella Repubblica democratica del Congo, dove i missionari “bianchi”, che con la loro presenza hanno portato all’ampia diffusione del Vangelo, sono ormai una esigua minoranza. La Chiesa congolese ha ora le sue sicure basi autoctone. Ho sentito l’invito della mia comunità come un’opportunità per arricchire la mia vita e la mia fede. La comunità paolina a Kinshasa è giovane e io mi trovo a dividere il tempo tra la formazione dei futuri religiosi e la responsabilità di alcuni uffici come quello di economo, per gestire i nostri progetti di evangelizzazione tramite i mezzi di comunicazione. La nostra casa editrice segue essenzialmente la linea che ci contraddistingue ovunque nel mondo: Bibbia, famiglia e comunicazione sono i nostri riferimenti. Siamo poi impegnati nella preparazione e nella diffusione di testi scolastici, per aiutare le giovani generazioni ad avere materiali adatti alla formazione. La tipografia poi ci permette di dare lavoro a più di cinquanta famiglie e diventa un impegno serio fare in modo che si possa continuare con professionalità».
Com’è il rapporto con la comunità locale, ti sei mai sentito in pericolo o semplicemente rifiutato? «Sono stato ben accolto, non solo in comunità ma anche per strada dove la gente ti saluta e ti sorride. Nel momento più critico del periodo elettorale, lo scorso mese di dicembre, come occidentali si era additati a causa delle situazioni negative e di sfruttamento del Paese, ma non ho visto violenze o gesti diretti contro stranieri. Con il passare del tempo sono più conosciuto nel mio quartiere e aumentano coloro che bussano alla porta per un aiuto. Le situazioni che si presentano sono le più disparate, ma tutte fanno toccare con mano quanto sia difficile vivere in una città immensa come Kinshasa. Tanti ragazzi e giovani faticano per pagarsi le spese della scuola o dell’università; tanti papà e mamme non possono permettersi di pagare le cure per i propri figli; le famiglie sono ricche soprattutto di figli e si accontentano di vivere in spazi molto ristretti. Ciò che non manca è la fede, che conosco soprattutto attraverso chi, pur dovendo percorrere lunghe distanze, inizia la giornata con la celebrazione dell’eucaristia e condivide con la mia comunità l’ascolto della Parola di Dio».
Cosa hanno di speciale i missionari? Perché nell’immaginario comune attraggono pure i non credenti? «L’idea classica di missionario è quella di un coraggioso, capace di sradicarsi dalla sua terra, dalle sue abitudini, per mettere nuove radici in un popolo sconosciuto, in una terra da abitare dove condividere gioie e sofferenza. Immettersi in una nuova cultura, assumere nuovi ritmi e spesso confrontarsi con situazioni al limite della vivibilità rimane una sfida che affascina. L’uomo, la donna, sono costruttivamente aperti all’incontro e alla scoperta e il missionario è persona di connessione, di incontro. “I semi del verbo”, la presenza germinale della salvezza portata dal Cristo Gesù e diffusa in ogni cultura e in ogni luogo, permettono scambi e relazioni che sorpassano ogni frontiera. Questo rende la missione sempre interessante e affascinante».
Che valore può avere per i cristiani e i non cristiani una giornata di ricordo e commemorazione di tanti uomini e donne di fede? Perchè è importante parlarne o addirittura pregare e digiunare? «Mi viene subito in mente la famosa affermazione di Paolo VI in Evangelii Nuntiandi: “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni” (EN, 41). Tutti siamo in ricerca di qualcuno da ascoltare, di esempi da seguire per rendere la nostra vita carica di significato. Mettersi in ascolto di chi ha dato tutto per portare un annuncio di pace e gesti di vita nel nome di Gesù è un modo per arricchirsi nel profondo. Sappiamo che in questa data si ricorda l’assassinio dell’arcivescovo Romero, di un missionario “nella sua stessa patria”, un uomo che attraverso un cammino di conversione al Signore e di coerenza personale ha saputo essere segno di contraddizione e di giustizia. Pregare e digiunare è lo stile riconosciuto da tutte le religioni, e in qualche modo anche da chi non ha alcuna fede, per ritrovare spazio e disponibilità all’ascolto e al cambiamento. Ricordare i missionari martiri non è un momento di lutto, è piuttosto una festa di popoli che si ritrovano attorno ad esempi luminosi di fede incarnata in tutte le sue dimensioni».

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