vendredi 30 mars 2012

Ero senza casa... avevo fame...

Si corre veramente il rischio di essere ripetitivi e stancare chi legge le notizie congolesi. Problemi di corruzione, di malgoverno, di povertà, di salute... Sarebbe bello parlare della normalità della vita quotidiana, dei giovani che riescono a metter su una piccola impresa e si impegnano al massimo, delle scuole che pur con pochi mezzi offrono un buon livello di educazione. Solo che poi ci si scontra con la realtà che ti bussa fisicamente alla porta. È ancora lo stesso Emmanuel di un paio di post fa. La situazione della sua famiglia si è fatta grave. Pensavo di dovergli dare una mano per gli studi invece le esigenze che sono emerse sono ben altre. Emmanuel, quattordici anni, è l'unico "uomo" in una famiglia di sette donne, dopo che il padre li ha abbandonati. E si coglie il suo coraggio e la sua intraprendenza di "capofamiglia", ma anche tutta la fragilità, che "incarna" tutti i disagi tipici della società congolese. L'altra notte la famiglia di Emmanuel è stata cacciata dalla casa; la mamma mi ha inviato un chilometrico messaggio di aiuto verso le 23. Ovviamente non ho potuto fare nulla. L'indomani Emmanuel si è presentato stanco e affamato a presentarmi la situazione. Fortunatamente il capo quartiere alle tre di notte aveva convinto il padrone di casa a far rientrare la famiglia e a dare un nuovo termine di pagamento. Emmanuel si presenta sempre con il suo registro scolastico personale. Penso sia la cosa che gli interessi maggiormente: poter proseguire i suoi studi, nonostante tutto. Solo che oggi Emmanuel si è presentato più affaticato del solito, con una crisi di malaria. Allora, dopo avergli dato qualcosa da mangiare, l'ho inviato al centro medico dove l'hanno visitato e gli hanno consegnato alcuni medicinali. Ma il vero problema che il medico ha segnalato non è tanto o solo la malaria, ma la denutrizione. Ha fatto una lunga lista di cibi di cui il ragazzino avrebbe bisogno. E qui si ritorna al solito problema... Veramente, si vorrebbe raccontare altro, ma come lasciare solo Emmanuel e la sua famiglia tutta al femminile?

dimanche 25 mars 2012

Per le strade del mondo


Rilancio l'intervista che Giuseppe Cutrona ha realizzato per il sito www.daportasantanna.it
Nel giorno del ricordo dei missionari martiri abbiamo raggiunto padre Roberto Ponti, missionario paolino in Congo, per conoscere la sua esperienza di missione e per condividere insieme a lui il valore di questa giornata che la Chiesa ci invita a vivere nella preghiera e nel digiuno.

Padre Roberto, raccontaci la tua esperienza di missione. Come hai vissuto la chiamata verso questa nuova terra lontana da casa e dagli affetti? Di cosa ti occupi e in cosa consiste la missione paolina in Congo? «Sono arrivato circa un anno fa a Kinshasa, nella Repubblica democratica del Congo, dove i missionari “bianchi”, che con la loro presenza hanno portato all’ampia diffusione del Vangelo, sono ormai una esigua minoranza. La Chiesa congolese ha ora le sue sicure basi autoctone. Ho sentito l’invito della mia comunità come un’opportunità per arricchire la mia vita e la mia fede. La comunità paolina a Kinshasa è giovane e io mi trovo a dividere il tempo tra la formazione dei futuri religiosi e la responsabilità di alcuni uffici come quello di economo, per gestire i nostri progetti di evangelizzazione tramite i mezzi di comunicazione. La nostra casa editrice segue essenzialmente la linea che ci contraddistingue ovunque nel mondo: Bibbia, famiglia e comunicazione sono i nostri riferimenti. Siamo poi impegnati nella preparazione e nella diffusione di testi scolastici, per aiutare le giovani generazioni ad avere materiali adatti alla formazione. La tipografia poi ci permette di dare lavoro a più di cinquanta famiglie e diventa un impegno serio fare in modo che si possa continuare con professionalità».
Com’è il rapporto con la comunità locale, ti sei mai sentito in pericolo o semplicemente rifiutato? «Sono stato ben accolto, non solo in comunità ma anche per strada dove la gente ti saluta e ti sorride. Nel momento più critico del periodo elettorale, lo scorso mese di dicembre, come occidentali si era additati a causa delle situazioni negative e di sfruttamento del Paese, ma non ho visto violenze o gesti diretti contro stranieri. Con il passare del tempo sono più conosciuto nel mio quartiere e aumentano coloro che bussano alla porta per un aiuto. Le situazioni che si presentano sono le più disparate, ma tutte fanno toccare con mano quanto sia difficile vivere in una città immensa come Kinshasa. Tanti ragazzi e giovani faticano per pagarsi le spese della scuola o dell’università; tanti papà e mamme non possono permettersi di pagare le cure per i propri figli; le famiglie sono ricche soprattutto di figli e si accontentano di vivere in spazi molto ristretti. Ciò che non manca è la fede, che conosco soprattutto attraverso chi, pur dovendo percorrere lunghe distanze, inizia la giornata con la celebrazione dell’eucaristia e condivide con la mia comunità l’ascolto della Parola di Dio».
Cosa hanno di speciale i missionari? Perché nell’immaginario comune attraggono pure i non credenti? «L’idea classica di missionario è quella di un coraggioso, capace di sradicarsi dalla sua terra, dalle sue abitudini, per mettere nuove radici in un popolo sconosciuto, in una terra da abitare dove condividere gioie e sofferenza. Immettersi in una nuova cultura, assumere nuovi ritmi e spesso confrontarsi con situazioni al limite della vivibilità rimane una sfida che affascina. L’uomo, la donna, sono costruttivamente aperti all’incontro e alla scoperta e il missionario è persona di connessione, di incontro. “I semi del verbo”, la presenza germinale della salvezza portata dal Cristo Gesù e diffusa in ogni cultura e in ogni luogo, permettono scambi e relazioni che sorpassano ogni frontiera. Questo rende la missione sempre interessante e affascinante».
Che valore può avere per i cristiani e i non cristiani una giornata di ricordo e commemorazione di tanti uomini e donne di fede? Perchè è importante parlarne o addirittura pregare e digiunare? «Mi viene subito in mente la famosa affermazione di Paolo VI in Evangelii Nuntiandi: “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni” (EN, 41). Tutti siamo in ricerca di qualcuno da ascoltare, di esempi da seguire per rendere la nostra vita carica di significato. Mettersi in ascolto di chi ha dato tutto per portare un annuncio di pace e gesti di vita nel nome di Gesù è un modo per arricchirsi nel profondo. Sappiamo che in questa data si ricorda l’assassinio dell’arcivescovo Romero, di un missionario “nella sua stessa patria”, un uomo che attraverso un cammino di conversione al Signore e di coerenza personale ha saputo essere segno di contraddizione e di giustizia. Pregare e digiunare è lo stile riconosciuto da tutte le religioni, e in qualche modo anche da chi non ha alcuna fede, per ritrovare spazio e disponibilità all’ascolto e al cambiamento. Ricordare i missionari martiri non è un momento di lutto, è piuttosto una festa di popoli che si ritrovano attorno ad esempi luminosi di fede incarnata in tutte le sue dimensioni».

mardi 13 mars 2012

Emmanuel



Ancora una volta mi trovo davanti ad una situazione che non può lasciarmi indifferente. Sono in tanti che bussano alla porta della Comunità Paolina di Limete ed è invalso l'uso di farsi preannunciare da una lettera. E i congolesi conoscono bene i passaggi burocratici (la pesantezza della burocrazia statale è uno dei blocchi ad un possibile sviluppo della nazione...) per cui sanno come scrivere una lettera per presentare le proprie richieste in maniera circostanziata. Ovvio che bisogna saper distinguere richieste vere e richieste meno vere... Per questo chi bussa arriva a presentare anche fatture, preventivi, finanche certificati di decesso al fine di essere più credibili nelle richieste. Purtroppo non si può dire di sì a tutti ed è spesso l'emozione a fare la differenza. È quanto capitato con Emmanuel, del quale è arrivata sul mio tavolo una lettera firmata "l'allievo Emmanuel". Quando la portineria l'ha fatto entrare nel mio ufficio mi son trovato davanti un ragazzino smilzo, con il fiato corto per la paura, ma sufficientemente risoluto per presentare anche a voce la sua richiesta: per continuare a seguire i corsi e recuperare gli esami non fatti a scuola aveva bisogno di un aiuto economico. Come fare a dire di no? Per quanto potevo gli ho dato una mano. Gli ho chiesto però di farmi avere la prova che l'offerta arrivasse effettivamente a destinazione. Così sabato scorso l'ho rivisto al cancello, zaino in spalla, e mi ha presentato il suo registro personale con la dichiarazione timbrata e firmata dalla sua scuola che attestava il versamento delle tasse. Insieme, però, ecco una nuova lettera, questa volta di sua mamma. Oltre a ringraziarmi, mi ha presentato la situazione che vive: abbandonata dal marito, deve far crescere oltre a Emmanuel altre quattro figlie, che ovviamente dovrebbero essere aiutate per poter andare a scuola. E lo stesso Emmanuel ha ancora bisogno di qualcosa per cominciare a pagare la rata del secondo trimestre. La sua camicia, in origine bianca, ingiallita dalla polvere che a Kinshasa è sempre nell'aria e dal sudore, dice la fatica di tirare avanti. Ma il sorriso non manca sul suo volto. Un po' di speranza c'è sempre nel cuore di un vero congolese.