vendredi 21 octobre 2011

Lavorare per curarsi o curarsi per lavorare

Ieri mattina un giovane papà che spesso partecipa alla messa della nostra comunità alle 6 di mattina si è riaffacciato dopo diverse settimane di assenza. Ho capito che aveva qualcosa da dirmi e soprattutto che era sofferente. Mi ha mostrato una ferita infetta sul piede. Era cosciente d'aver trascurato le cure, dopo essersi ferito per un piccolo incidente domestico. Ma non aveva scelta: andare al dispensario comporta spendere soldi e poi acquistare medicine. E quel poco che riesce a racimolare ogni giorno serve per nutrire il suo bambino. Ho detto allora a Pasha di andare a mio nome al centro medico (nome altisonante per un luogo molto essenziale e appena nei limiti igienico-sanitari). Oggi Pasha si è presentato con Emile, il suo bimbo di 2 anni. La notte non aveva dormito e aveva la febbre alta. Ho mandato anche lui per qualche cura al centro medico. Sono tornati a salutarmi e a dirmi come stavano: per Pasha necessità di antibiotici per far rientrare l'infezione; per Emile febbre tifoide da curare e attenzione all'alimentazione che deve essere più appropriata. Mentre Emile giocava con un trenino sulla scrivania, Pasha mi ha chiesto ciò che gli sta più a cuore: non vuole sempre essere aiutato, non vuole soldi, vuole un lavoro che gli dia un minimo di sicurezza e così potersi curare e curare la sua famiglia. C'è tanta dignità e fede in questi giovani congolesi con tanti problemi e con l'unica ricchezza riposta nei propri figli, che però devono poter crescere.