dimanche 20 octobre 2013

Un cuore per l'Africa

DON GIUSEPPE DADOMO


Incontro padre Giuseppe Dadomo mentre, come al solito, è intento a lavorare con la schiena ricurva, nel terreno che circonda la comunità paolina di Lubumbashi, capitale del Katanga, la parte del territorio congolese che si insinua fra Angola, Zambia e Tanzania. Sono giorni di lavoro e di festa per la prima professione religiosa di tre nuovi paolini congolesi. Padre Giuseppe Dadomo ha 91 anni, di cui più di 50 vissuti nell’odierna Repubblica Democratica del Congo, ex Congo-Belga, ex Zaire. Nonostante la veneranda età, fa sempre la sua parte di lavoro, garantendo quotidianamente, oltre a una preghiera abbondante e costante, l’ordine e la pulizia del terreno, del bananeto e degli alberi di mango. Quando Baba Joseph – così viene qui chiamato il vecchio e saggio nonno – arrivò in Congo più di cinquant’anni fa, era già un uomo e un prete con una certa esperienza, avendo superato la quarantina e avendo più volte attraversato l’oceano seguendo le indicazioni del fondatore, il beato Giacomo Alberione, che l’aveva inviato in Canada. Le sue origini umili, che affondano le radici nell’Appennino piacentino, hanno forgiato la sua tempra di missionario a tutto campo, con quel plus di spiritualità guadagnata nel contatto con chi, in tempi eroici, ha fatto nascere dal nulla quella grande famiglia religiosa che nel giro di pochi decenni, grazie allo zelo apostolico e al coraggio dei giovani preti, si è diffusa in tutta Italia e in tutto il mondo.
Padre Giuseppe, quale è stata la sua reazione quando ha saputo di essere destinato all’Africa?
«In realtà non ne sono stato sorpreso, perché era un desiderio che sentivo dentro e che avevo manifestato. Si pregava spesso per la grande Africa e per diversi anni si è atteso di decidere verso quale Paese dirigersi. Nel frattempo avevo ascoltato anche alcuni vescovi di passaggio a Roma che chiedevano missionari per l’Africa. Il mio cuore si era già aperto a questo continente così variegato e ricco di potenzialità, ma con tanti problemi».
Quali sono stati i suoi impegni di missionario paolino in Congo ?
«Il delegato di don Alberione, il mio conterraneo don Tonni, aveva preso contatti con la congregazione più diffusa a Leopoldville (oggi Kinshasa): i padri del Cuore Immacolato di Maria, conosciuti anche come missionari di Scheut dal luogo della loro casa madre in Belgio. Essi avevano già avviato alcune tipografie per soddisfare i bisogni di stampa per le missioni e le parrocchie. Inizialmente ci mettemmo al servizio di questa tipografia, poi impiantammo il nostro centro-stampa con l’arrivo di alcuni confratelli, tecnici esperti che per primi, nel caldo africano, riuscirono a far funzionare, con opportuni accorgimenti, la tecnologia di stampa offset. Erano gli anni Sessanta».
Accanto all’apostolato tecnico, come è stato il contatto con la popolazione locale?
«Le nostre tipografie, prima a Kinshasa e poi a Elisabethville (l’odierna Lubumbashi) hanno sempre lavorato grazie all’apporto di maestranze locali da noi istruite e quindi l’impegno apostolico è stato condiviso con tanti giovani congolesi. È da notare che la maggior parte delle tipografie nate successivamente in Congo sono gestite da chi ha appreso da noi l’arte tipografica. Quasi subito poi, insieme alle suore paoline, abbiamo cominciato la diffusione dei libri e delle Bibbie, come pure la redazione di un mensile di successo, Afrique Chretienne, che per motivi politici negli anni Settanta fu censurato e chiuso dal potente dell’epoca, il maresciallo Mobutu. Ma quella difficoltà ci ha dato l’occasione per impegnarci di più nella redazione di libri di spiritualità e di manuali scolastici, la vera esigenza di una popolazione giovane come quella congolese».
E quanto all’impegno pastorale?
«Su invito dell’arcivescovo di Lubumbashi, noi paolini abbiamo dato inizio a due parrocchie. Una, quella di San Paolo, sorge accanto alla nostra libreria ed è ora dotata di una bella e ampia chiesa, di cui abbiamo seguito l’edificazione. L’altra, dedicata alla Regina degli Apostoli, è rimasta una piccola cappella, non lontana dalla nostra comunità. Ora il quartiere di Kigoma è divenuto molto popoloso e il parroco ha già iniziato, con i fondi dei fedeli, la costruzione di una nuova chiesa più ampia. Ma ora i lavori sono fermi per mancanza di contributi. Nonostante questo, proprio nella cappella della Regina degli Apostoli, abbiamo celebrato la prima professione di tre paolini, con grande partecipazione di fedeli, in gran parte rimasti fuori per mancanza di spazio».
Testo di Roberto Ponti - Rivista CREDERE, n. 29 del 20 ottobre 2013